DOTT. COSIMO PEDUTO

La prima sfida che questo Consiglio d’Amministrazione intende lanciare è di natura culturale prima ancora che politica ed economica: “togliere il velo” del disinteresse e dell’incuria su uno degli angoli industriali più importanti e con il maggior valore aggiunto di tutto il paese, ovvero il quadrante che dal Sud di Roma arriva fino alla parte Nord di Latina nel quale si sono insediate nel corso dei decenni oltre 700 industrie, di ogni dimensione patrimoniale, settore merceologico, forma giuridica. Essenzialmente grandi imprese che reggono la quota largamente maggioritaria dell’export del Lazio.

E si sono insediate proprio qui non per caso, ma in virtù di una specifica e lungimirante scelta politica che, all’inizio degli anni 50, impose con forza l’esproprio  di migliaia di ettari di terreni incolti che furono sottratti alla rendita fondiaria ( nobiliare e clericale) e quindi destinati agli attuali insediamenti industriali, che hanno concorso alla definizione non soltanto del  nostro tessuto produttivo ma, cosa più importante, al profilo urbanistico e paesaggistico stesso del nostro territorio.

Vedendo le cose da questo angolo visuale si comprende come allora non vi era alcun contrasto tra Roma e Latina ( essendoci una visione politica ed economica il contrasto infatti era superato nei fatti) ma al contrario , gli elementi migliori delle classi dirigenti dei due territori sperimentarono con successo e svilupparono con significativi effetti normativi, economici, urbanistici e sociali la nascita di un vero e proprio Distretto, anche se tale , tecnicamente, non è mai stato.

È una storia che va avanti fino al 1992 e che registra una battura d’arresto con la fine della Cassa del Mezzogiorno, quando inizia il percorso inverso, la chiusura di decine di industrie , i licenziamenti, l’abbandono ed il degrado di questi siti industriali.

La seconda sfida che intendiamo lanciare è quella per la quale cui per creare sviluppo ed occupazione serve spendere soldi pubblici: non è cosi, o per lo meno non è stato così per noi quando abbiamo ripreso dall’armadio impolverato del MISE l’art. 63 della legge 448 e lo abbiamo sperimentato per far rimettere in produzione un sito dismesso ; niente soldi pubblici, nessuna variante urbanistica destinata a “mangiare suolo” , tutela dell’ambiente, piena e graduale occupazione, massimo coinvolgimento di tutti gli attori economici ed Istituzionali e tutto con il solo utilizzo della NORMA, nazionale e regionale.

Il risultato è che oggi ci sono tante altre richieste di investitori privati su altrettanti siti industriali dismessi in diretta ed esplicita conseguenza del fatto che abbiamo reso semplice e  trasparente ciò che prima era complicato ed opaco.

Di siti dismessi anche fuori dal perimetro consortile ce ne sono  decine e la terza sfida sta proprio nel non considerarli abbandonati a stessi o peggio ancora, immaginarli solo come futuri centri commerciali dal breve ed incerto futuro.

Vogliamo riprendere con forza una battaglia culturale e quindi politica ed economica intorno alla quale gli Enti locali, le Organizzazioni di categoria, i Sindacati dei lavoratori, i centri di ricerca possano riassegnare a questo pezzo di territorio ed alle imprese che lo vivono il posto e le funzioni che storicamente ha esercitato, facendo al tempo stesso in modo che si ritorni a creare e far creare occupazione e sviluppo facendo leva su quello che c’è.

Certo ammodernandolo e rendendolo competitivo ai mutati contesti della globalizzazione, ma a condizione che si parta da quello che c’è. E quello che c’è, qui, non è poco.